Un uomo che ride è più inquietante di un uomo che piange.

Arthur Fleck è un uomo con un corpo deforme che si muove tra umorismo e aggressività. È un personaggio che ha l’obiettivo di far ridere per creare una connessione con gli altri attraverso la risata, ma che in tutta risposta riceve violenza. Il riso è una delle prime forme di interattività volontaria nel bambino e lo slancio affettivo che non trova riscontro genera in lui un trauma profondo.

Una parte degli studi sull’umorismo rileva la continuità tra l’aggressività e lo humor quale forma di aggressività sublimata. Per tutta una vita Arthur Fleck, alias Joker, prova a far ridere; come potenziale stand-up comedian viene invitato ospite al Late Night Show della finzione. La violenza si ritorce contro il De Niro conduttore perché non tratta Arthur come motore del riso come vittima inconsapevole della risata.

Interrogando il testo si può notare come tutto sia costruito per mettere in scena il male a partire dalle ferite di Arthur. Partiamo da una citazione da “Il manuale della televisione” di Paolo Taggi:

“Il difetto tragico – come la ferita – è la fessura dalla quale fuoriesce la verità del personaggio, la sua interiorità protetta e il suo contenuto.”

Nell’indagine sulla propria identità, che, inevitabilmente porta indietro all’origine della vita, alla madre e al padre, verso la speranza di un atto d’amore, Arthur viene sistematicamente tradito: scopre che la madre non l’ha mai amato e la sua paternità è incerta. Non vi sono atti d’amore nel suo passato, ma atti di violenza subita. L’epifania a cui giunge ha risvolti cognitivi e non solo emotivi: non ho mai vissuto un solo istante di felicità nella mia vita. Ecco, il preludio alla violenza, la detonazione che lo porta a soffocare la madre, che ha sì generato la vita, soffocandola sul nascere.

Dalla relazione con la madre: è lì che si setta il personaggio, una madre che non è in grado di infondere amore né in grado di proteggere, e condanna il figlio all’abuso fisico e psicologico. E la violenza di Joker non è cieca gratuita perché risparmia l’unica persona ad aver mostrato compassione nei suoi confronti, il nano. Gli altri meritano la sua vendetta. Tutti sono colpevoli.

Nonostante tutto l’azione di Joker è sconsiderata oppure una reazione motivata?

Se interrogando il testo rileviamo gli elementi che generano pressioni sul personaggio – e tutte le storie funzionano quando i personaggi subiscono pressioni sempre più forti che spingono la reazione in una determinata direzione – la violenza non si mostra più gratuita o immotivata: “non ho vissuto soltanto un attimo di gioia, di felicità, un attimo degno di essere vissuto [un attimo degno d’amore nella mia vita]… e se non c’è stato neanche un grammo d’amore dov’è la mia relazione con gli altri o la connessione che provo?”.

Il primo atto di violenza che compie Joker è in risposta a un’aggressione. Viene aggredito perché il suo riso non è tollerato. La sindrome pseudobulbare di cui soffre, provocata da lesioni e patologie neurologiche e caratterizzata da risate e pianti incontrollabili, lo porta a una risata isterica, fuori contesto.

Quando Arthur deve manifestare la propria tristezza ride, laddove gli altri umani si esprimono col pianto. In Joker c’è un cortocircuito tra i due gesti base del relazionarsi e del comunicare. Ed ecco subentrare la violenza, il terzo modo di creare una relazione: la violenza è per Arthur la prima acquisizione di potere, che schiude fiducia e genera consenso negli altri.

L’ esasperazione violenta non infierisce soltanto sulle persone, ma su un sistema che non si cura di alleviare il dolore della condizione umana, ma lo alimenta, arrivando perfino a privare chi soffre di sedativi e psicofarmaci e relegando il diverso a oggetto di scherno e male sociale.

Una volta che viene privato di tutto, ad Arthur resta soltanto la violenza: c’è una risata che compare sul suo volto nel momento in cui scopre che gli altri mettono la sua maschera – non è il solo a subire. Ecco la violenza comparire come reazione.

Un uomo che ride è più inquietante di un uomo che piange, perché laddove il pianto è interiorizzazione e accettazione, la risata è un fenomeno sovversivo che ribalta un ordine, mostrandoci che nello stato delle cose qualcosa non funziona.  E questo oltre la morale e i moralismi… ma siamo sicuri che obiettivo di una storia sia costruire o rinforzare la morale piuttosto che provocare?

La forza, l’eruzione della violenza può spingersi ovunque, ma il vero punto è riportare all’origine la radice del male e riconoscere, grazie a un personaggio di finzione, che in ognuno di noi ci sono sia Arthur che Joker e che ogni Joker nasconde un Arthur a cui sono negate perfino le lacrime.

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